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Acqua virtuale: cos'è, come si calcola ed esempi

Acqua virtuale - A2A

L'acqua virtuale è la quantità di acqua dolce usata nella produzione e commercializzazione di alimenti e beni di consumo. Anche se il calcolo è molto complesso, questo concetto mira a sensibilizzare l'opinione pubblica riguardo al consumo delle risorse idriche.

Le questioni ambientali stanno diventando sempre di più un argomento centrale nel dibattito pubblico, a cominciare dalla lotta ai cambiamenti climatici. Un tema altrettanto importante, spesso strettamente correlato, è la lotta agli sprechi idrici.

Il concetto di acqua virtuale ha come obiettivo proprio quello di aumentare l’attenzione nei confronti del consumo delle risorse idriche. Vediamo nel dettaglio di cosa si tratta, come si calcola e alcuni esempi sull’acqua virtuale, per capire meglio come compiere scelte di consumo sostenibili e diminuire il consumo di acqua dolce.

Che cos’è l’acqua virtuale

Ogni prodotto, da quelli agricoli all’abbigliamento, richiede una determinata quantità di acqua nel processo produttivo. Con il termine acqua virtuale, virtual water in inglese, ci si riferisce alla quantità di acqua dolce necessaria per produrre e commercializzare un prodotto alimentare, un bene di consumo o un servizio.

Questa quantità di acqua può essere misurata nel luogo dove il bene è stato prodotto: in questo caso si parla di production-site definition, un termine che si riferisce alla somma dell’acqua consumata nelle varie fasi della sua produzione. Altrimenti, può anche essere definita come il volume d’acqua che sarebbe stato necessario utilizzare per produrlo nel luogo di consumo: in questo caso si parla di consumption-site definition.

L’aggettivo “virtuale” si riferisce al fatto che molta dell’acqua utilizzata per produrre un bene non è contenuta nel prodotto finito. Il reale contenuto d’acqua del bene, infatti, è generalmente trascurabile rispetto al suo contenuto “virtuale”.

Chi ha ideato il concetto di acqua virtuale

Il concetto di acqua virtuale è stato introdotto nel 1993 da John Anthony Allan, professore di geografia al King’s College e professore emerito alla School of Oriental and African Studies della University of London. Nei suoi studi il professore Allan stimò che per produrre una tazza di caffè sono necessari 140 litri di acqua, utilizzati per la coltivazione e il trasporto del caffè.

Come spiega il professore, alla fine degli anni ’80 aveva introdotto il concetto di “acqua incorporata” definita come l’acqua utilizzata nel commercio internazionale di beni alimentari. L’espressione “acqua virtuale” la introdusse intorno al 1993, quando fu utilizzata nel corso di un seminario settimanale tenuto presso l’Università di Londra.

Sebbene questo termine non gli piacesse, si rese conto che esercitava un fascino immediato tra il pubblico. Tale espressione è ormai ampiamente utilizzata dai professionisti delle risorse idriche, nella scienza e nella politica sull’acqua, oltre ad essere diventata ampiamente usata sui media per descrivere il fenomeno.

Grazie ai suoi contributi pionieristici, alla comprensione e alla comunicazione dei problemi idrici, nel 2008 il professor Allan ricevette lo Stockholm Water Prize da parte dello Stockholm International Water Institute.

Cosa si intende per acqua virtuale e impronta idrica

Non bisogna fare confusione tra l’acqua virtuale e l’impronta idrica. Quest’ultima rappresenta tutta l’acqua utilizzata durante tutto il ciclo di vita di un prodotto, un processo o un servizio, quindi sia l’acqua diretta sia l’acqua indiretta.

Mentre l’impronta idrica, da non confondere con l’impronta ecologica o carbonica, considera la totalità dell’acqua diretta e indiretta usata per la produzione di beni e servizi, l’acqua virtuale si riferisce appena alla parte di acqua indiretta. Acqua virtuale e impronta idrica, dunque, non sono la stessa cosa, ma l’acqua virtuale è una parte dell’impronta idrica.

Che cosa si intende per acqua blu, verde e grigia

Come abbiamo visto, quando si parla di acqua virtuale ci si riferisce anche al concetto di impronta idrica, ovvero l’insieme dell’acqua diretta e indiretta necessaria per la produzione di un bene. La water footprint è formata da tre componenti idrici:

  • acqua blu, indica l’acqua dolce presa dalle falde acquifere e dalla superficie e non restituita all’ambiente;
  • acqua verde, rappresenta l’acqua piovana che traspira ed evapora nel suolo e nelle piante in relazione alle coltivazioni;
  • acqua grigia, si riferisce alle risorse idriche che servono per assorbire l’acqua inquinata generata dalla produzione di un bene.

Ogni componente ha un impatto sul ciclo idrogeologico differente, quindi è importante analizzare sia il congiunto dell’impronta idrica, sia le singole componenti che costituiscono l’impatto di un prodotto o un servizio sulle risorse idriche e l’ambiente.

Come si calcola l’acqua virtuale

Il calcolo dell’acqua virtuale è un’operazione piuttosto complessa, infatti bisogna capire quanta acqua è stata utilizzata per produrre, imballare e trasportare un prodotto. Non essendo direttamente presente nel bene, richiede delle stime in merito al possibile quantitativo d’acqua usato nella fase di produzione, packaging e trasporto.

Oggi però esistono dei calcoli abbastanza precisi in merito all’acqua virtuale e all’impronta idrica, eseguiti da ricercatori e organizzazioni specializzate come la non profit Water Footprint Network. Sul sito waterfootprint.org, infatti, è possibile trovare dei dati attendibili e anche calcolare la propria water footprint online.  

Acqua virtuale: esempi negli alimenti e nei prodotti

Per capire qual è l’impatto ambientale dell’acqua virtuale è possibile considerare i dati forniti dal Water Footprint Network. Sul portale si scopre ad esempio il peso dell’acqua virtuale negli alimenti, notando, ad esempio, come un pomodoro da 250 grammi richiede un consumo di 50 litri d’acqua, mentre 1 Kg di carne bovina consuma fino a 15.400 litri d’acqua.

È evidente come gli alimenti di origine vegetale comportino un consumo idrico inferiore rispetto ai prodotti di origine animale, ad ogni modo ecco la water footprint di alcuni alimenti:

  • Mela 125 litri d’acqua (150 g);
  • Banana 160 litri d’acqua (200 grammi);
  • Patate 290 litri d’acqua/Kg;
  • Cetrioli 350 litri d’acqua/Kg;
  • Riso 1.670 litri d’acqua/Kg;
  • Carne di pollo 4.330 litri d’acqua/Kg;
  • Carne di maiale 5.990 litri d’acqua/Kg.

Gli scambi mondiali di acqua virtuale

Ogni anno vengono commercializzati trilioni di dollari di prodotti agricoli in tutto il mondo, e con essi l’acqua necessaria alla loro crescita incorporata nei prodotti stessi. Come spiega Francesco Laio, Direttore del Dipartimento di Ingegneria dell'Ambiente, del Territorio e delle Infrastrutture e tra gli autori dello studio “Shock transmission in the International Food Trade Network”: «Quando mangi del pane in Italia è molto probabile che il grano con cui è stato prodotto provenga dalla Moldavia o da un altro paese».

Sebbene il commercio tra due paesi possa essere equilibrato in termini economici, un paese può effettivamente esportare le proprie acque se vende colture che richiedono un’irrigazione intensa e importa prodotti alimentari che richiedono meno acqua.

Esiste un grosso squilibrio a livello internazionale tra paesi importatori ed esportatori di acqua virtuale. Sono solo otto, infatti, i paesi grandi esportatori di acqua virtuale: Canada, Stati Uniti, Brasile, Argentina, Australia, India, mentre dal 2000, anche la Russia e l’Ucraina. Dall’altra parte, invece, i paesi importatori di acqua virtuale sono oltre 160.

Perché l’acqua virtuale è importante?

Negli anni ’60 diversi esperti e analisti prevedevano guerre per l’acqua, in particolare nei paesi di Medio Oriente e Nord Africa caratterizzati da scarse risorse idriche. A metà degli anni ’80 la popolazione della regione era ormai quasi raddoppiata, e con essa la domanda alimentare, senza che tuttavia vi fossero stati conflitti armati causati da contese per l’accesso all’acqua.

L’assenza di guerre per l’oro blu, secondo il professor Allan, era dovuta al fatto che i paesi che non erano in grado di soddisfare il proprio fabbisogno alimentare in modo autosufficiente, a causa della penuria di risorse idriche, ricorrevano a una maggiore importazione di prodotti alimentari coltivati dall’estero. Importare prodotti agricoli non rappresenta un problema, poiché i paesi esportatori di generi alimentari non fanno pagare i costi del danno causato ai loro ecosistemi idrici e alla loro biodiversità.

Per la maggior parte delle economie del mondo è diventato normale approfittare di cibo a basso prezzo. Questo sistema alimentare, infatti, da un lato consente di mantenere in vigore il contratto sociale tra politici e cittadini, secondo cui i prezzi dei generi alimentari dovrebbero diminuire anziché aumentare. Allo stesso tempo, però, danneggia l’ambiente dei paesi esportatori e la sicurezza alimentare mondiale a lungo termine.

Sensibilizzare l’opinione pubblica e i politici sul tema dell’acqua virtuale, e più in generale sul tema dello spreco dell’acqua, è dunque di fondamentale importanza per la sicurezza alimentare globale.

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